Islanda (mon amour)
La prima volta che sono stato in Islanda è stato nella lontanissima estate del 2001. Ricordo con chiarezza l’entusiasmo incontrollabile misto a stupore, che mi accompagnò in quel viaggio mentre ammiravo panorami assolutamente fuori dal comune, di una bellezza cristallina, di una vastità inconcepibile e di una varietà incredibile.
Lo ricordo bene non perché abbia buona memoria, tutt’altro, ma perché è esattamente quello che ho provato tutte le altre volte che sono stati qui (e se non erro dovrebbero essere in totale otto con questa).
A questo giro sono arrivato in terra islandese il 4 luglio e mi ha immediatamente preso quella sana ma incontrollabile “angoscia del viaggiatore”: la paura di perdermi qualcosa. Infatti tra quello che devo assolutamente rivedere (o rifotografare o ridronare - ma non credo si possa dire) e quello che devo assolutamente vedere per la prima volta (e quindi ancora di più fotografare, filmare e dronare - vabbè facciamo che è un verbo che esiste) sono dal primo minuto “preoccupato” (ma felicissimo) di non riuscire a farcela. Quando è davvero ovvio che non ci riuscirò ma va benissimo così.
Esiste solo un (altro) posto al mondo in cui questa ansia di “acchiappare tutto” mi ha sempre preso così: New York. Ora non più. E non perché mi sia abituato (NO WAY!) ma solo perché, semplicemente, ci passo diversi mesi all’anno. E l’ansia da viaggio, muta o almeno più quieta.
Essere stato sette / otto volte in un luogo ha i suoi vantaggi: sai esattamente dove sei, quanto tempo ti serve per fare le cose, come vestirti, dove fermarti, come pronunciare Landamanllaugar e cosa ti aspetta se le nuvole si dovessero aprire in un certo luogo mentre ci sei.
Essere stato sette / otto volte qui ha però uno svantaggio enorme: sai tutto quello che ti perderai.
Ma c’è una soluzione semplice: tornarci una nona volta. L’amore lo fa.
Stay Tuned,
Lorenzo